Titolo:
L’agnello e la scure
Autore:
Giandomenico Montinari
Edizione:
Franco Angeli – Milano 1998
Perché la violenza rituale (o la rievocazione rituale della violenza) ristora, guarisce, purifica, fa capire il senso profondo delle cose e addirittura mette in contatto con Dio? Dai riti cruenti della più remota antichità alle sacre rappresentazioni, dalla tragedia greca al moderno sport, dall’ascetismo alla psicoanalisi, l’Uomo ha sempre intuito e ricercato il potenziale trasformativo – terapeutico insito nell’accostamento rituale di vita e morte, innocenza e brutalità, onnipotenza e impotenza, non senza stravolgerlo, spesso, in forme strumentali e perverse.
L’Autore, muovendosi in uno spazio interdiscipinare, incerto ma avvincente, tra neuropsicologia e antropologia, archeologia e storia delle religioni, mistica e psichiatria, conduce il Lettore alla faticosa individuazione di una metaforica “stanza del tesoro”, in cui ciò che da sempre viene oscuramente perseguito potrebbe, forse, rivelarsi nella sua essenzialità.
Il libro giunge ad alcune conclusioni inedite e a molte ipotesi suggestive, proponendo al Lettore una messe ricchissima di osservazioni, di accostamenti, di possibili linee di ricerca in molti ambiti dello studio dell’Uomo.
Partendo dalla constatazione della stretta parentela strutturale e storica esistente tra innumerevoli forme espressive di derivazione rituale, come terapia, teatro, danza, arte, sport, ecc. e tra tutte queste e il gioco infantile, l’autore si chiede perché e in che modo tali attività da sempre ristorano, curano, fanno crescere, e, talvolta, elevano l’uomo a Dio.
In particolare si interroga sul significato profondo della violenza, che per molti millenni (e, in forma più o meno simbolica, tuttora, per esempio in certi punti fondamentali del Credo cristiano, come la Crocifissione) ha fatto parte integrante dei riti propiziatori, iniziatici, terapeutici, ecc. e di tutte le manifestazioni derivate: perché, compiuta su un innocente inerme (in maniera drammatizzata o narrata, rappresentata o agita) è trasformativa e, in qualche modo, “salvifica”?
Il libro non è (e non potrebbe in alcun modo essere) una trattazione sistematica, ma, partendo da un insieme di spunti tratti dai campi più disparati (dall’archeologia alla linguistica, dalla paleoantropologia alla storia delle religioni, fino alla psichiatria e alla psicoterapia), cerca di capire quali misteriose relazioni si nascondono sotto l’accostamento rituale di brutalità e innocenza, sofferenza e cambiamento, e per cogliere nessi la cui mancata comprensione è probabilmente alla base di molti dei mali della nostra epoca.
Mali legati appunto all’esplosione incontrollata e ben poco rituale della violenza.
L’agnello e la scure non dà risposte, ma lascia intravedere la possibilità di recuperare l’immenso potenziale insito in questa antichissima tradizione, per esplorare meglio e vivere più consapevolmente ambiti dell’Umano diversi, ma solo apparentemente indipendenti l’uno dall’altro, la cui matrice comune è, adesso come sempre, l’eterna istanza autoterapeutica dell’Uomo.