“Riprendo dopo quasi dieci anni questo blog.
E’ passato molto tempo dal 2014 a oggi: come in uno scenario manzoniano, c’è stato di mezzo il COVID, la guerra in Ucraina e a Gaza, la consapevolezza sempre più diffusa di un’emergenza ecologica e sociale, il presentimento inespresso e confuso di una catastrofe incombente (una pandemia ancora più grave in arrivo? un inquinamento inarrestabile? la guerra atomica? il caos generale?)…
Per quanto riguarda l’Italia, a tutto questo si aggiunge la crescente percezione degli effetti della denatalità, invecchiamento diffuso e palpabile (si vedono dappertutto non solo impiegati, ma anche pompieri, carabinieri e soldati sempre più canuti ed obesi!), mancanza di personale in tutti i settori (dall’industria manufatturiera, alla ristorazione, alla sanità pubblica), ma soprattutto la strisciante sensazione che alla base di tutto ci sia una sorta di “esaurimento culturale”, una perdita di rilevanza dei valori tradizionali dell'”italianità” di fronte alle nuove sfide imposte dai cambiamenti climatici, dall’informatica sempre più pervasiva, dall’intelligenza artificiale, dalla robotica…
Anche nel mondo psichiatrico viene percepita una crisi progressivamente ingravescente: psichiatri e altri operatori sempre più rarefatti e isolati, perdita di collegamenti tra gruppi e servizi, crescente indifferenza tecnica per il nostro compito istituzionale, quello di migliorare le condizioni di vita dei pazienti (“ma se stanno meglio di noi, pensa qualcuno, immersi come sono nei loro deliri!…”). Altri si chiedono se ha senso cercare di capire i loro problemi e implementare le loro capacità di contatto con l’ambiente, quando siamo noi stessi che dobbiamo pensare a sopravvivere (moralmente, s’intende, almeno per il momento)?
Ogni tanto, insomma, sembra proprio che niente più abbia senso.
Io, data l’età, avverto con particolare forza tutto questo e devo elaborare il sospetto che il mio lavoro di ricerca e sperimentazione più che cinquantennale, del quale in questo sito sono riportate le tracce, non solo non è capito o non interessa più a nessuno, ma è diventato obiettivamente… inutile, di fronte all’ampiezza e alla cogenza dei problemi generali.
Ma è vero tutto questo?
Cerco di chiarire a me e a chi mi legge le risposte che mi sono dato, per sfuggire a uno stato d’animo che rischierebbe altrimenti di scivolare in una depressione senza via di uscita.
Anzitutto è vero che la Cultura della Modernità (chiamiamola così, che risale al Rinascimento, ma le cui ultime espressioni sono internet e l’AI) è distruttiva di quelli che sono sempre stati considerati valori fondamentali. Mette in crisi cioè concetti come “Patria”, “Libertà”, “Fede”, “Religione”, “Partito”, “Democrazia”, “Famiglia”, “Amore”, ma anche quelli più recenti come “Scienza”, “Potere”, “Guadagno”, “Carriera” e decine di altri. Sono convinzioni che hanno riempito la vita e l’anima di decine e decine di generazioni di persone, al punto da essere considerate da molti in alternativa alla vita stessa.
Ma, pensandoci bene, sono davvero valori degni di questo nome, in grado di resistere a una critica, solo di po’ più approfondita?
A mio avviso no. Vogliamo dire che sono tutte bufale? Mah… io direi proprio di sì. Semplicemente sono costruzioni che avevano qualche senso in contesti socio – culturali molto semplici, per non dire primitivi…, senza offesa per i veri “primitivi” che erano in realtà molto più saggi di noi.
Oggi non più: la Cultura della Modernità fa piazza pulita di tutto, dimostrando che i “valori” non sono quello che si crede, ma qualcosa di altro, qualcosa di molto più “terra – terra”, se non banale. Qualcosa comunque per cui non vale la pena di immolare la propria vita. Non voglio dilungarmi in questa sede sui singoli temi, ma mi sentirei di farlo e l’ho già fatto in alcuni dei miei libri, come”L’agnello e la Scure” per quanto riguarda la ritualità e le sue derivazioni e “A letto con l’Evoluzione” per quanto riguarda la sessualità.
Tale “cancellazione” dei valori stessi, fino a questo punto, è un’opera meritoria, anche se può portare (e porta molto diffusamente, soprattutto nei giovani) a forme di edonismo passivo e individualistico (vediamo tutti quotidianamente gruppi di ragazzini o addirittura coppiette di ventenni, che stanno assieme… ciascuno a smanettare sul proprio cellulare!), un edonismo (ammesso che si tratti di qualcosa di veramente piacevole) disincantato e quasi cinico. Se i “valori” sono tutti morti, molti non vedono perché debbano farsi trascinare fuori dal “meum particulare“, così rassicurante e, forse, gratificante, come un videogioco o un’escursione sui “social“, per andare a combattere per la Libertà, per la Patria, per la Chiesa o, più modernamente, per i profitti di una multinazionale…
La via di uscita che mi creo è pensare che si tratti di una fase di transizione, in cui la messa in discussione dei “Vecchi Valori” è già in atto, mentre i “Nuovi Valori” forse non ci sono ancora o forse non sono ancora riconosciuti.
Bisogna aspettare che si formino o che vengano individuati come tali.
Come saranno?
Io non lo so, anche perché avranno delle caratteristiche molto diverse e non saranno, per definizione, né strutturati, né “dati” dall’esterno: dovranno formarsi all’interno di ciascuna persona. Saranno valori contemporaneamente meno concreti e meno astratti, capaci di guardare all’Umanità nel suo insieme, ma contemporaneamente a se stessi e al “Prossimo” nel senso evangelico del termine, cioè al vicino, per cercare di fare quello che di volta in volta va fatto per stare bene e far star bene gli altri.
Qualcosa di non codificato e definito, ma variabile da caso a caso, in bilico tra istanze pubbliche e private, capaci di incorporare un certo “edonismo” (il voler star bene individualmente), ma di metterlo al servizio di quelli che si hanno intorno, senza la pesante mediazione da parte di enti e organizzazioni, come “chiese” e aziende, preoccupate solo di mantenere se stesse a scapito dei singoli.
Ciò dovrebbe creare un reticolo molto stretto e intricato, in grado di resistere sia alle spinte verso l’autismo e l'”idiozia” (nel senso etimologico greco di “centratura sul meum particulare“), sia alle richieste di alienazione da parte di un collettivo che non mai è veramente tale.
Il “Mondo Nuovo”, che in realtà è già in formazione, dovrebbe prendere corpo a partire da questi valori, basati non su feticci, su idee astratte e luoghi comuni, bensì sulla ricerca di una vera mediazione tra “pubblico” e “privato”. Per esempio: “mi interessa veramente diventare un leader e/o guadagnare un milione di Euro al mese? Se sì e se ne sono in grado, cercherò di farlo, serenamente e forse sarò contento, se resisterò ai rischi dell’alienazione (come “dare l’anima alla causa”… di una multinazionale). Se no, me ne starò nel mio orticello (o… in una botte come Diogene) e vivrò del poco che riuscirò a procurarmi, essendo egualmente contento, sempre che riesca a resistere ai rischi dell’autoreferenzialità e dell’implosione.
Un mondo costituito tutto di persone siffatte è più difficilmente preda delle storture e delle assurdità che sono alla base dei gravissimi guasti ecologico – sociali, che ci affliggono.
La Cultura della Modernità è per sua natura adatta a rappresentare la “pars destruens” di questo processo.
Ma perché prenda corpo la “pars construens” ci vuole qualcos’altro…
Non è per caso che, alla fine di tutto, questo qualcosa sia “Dio”, così come è scritto sulle monete da un dollaro (“In God we trust“)?!
Detto per inciso, sull’euro italiano c’è invece l’Uomo Vitruviano, cioè un personaggio in bilico tra il quadrilatero (= la società) e il cerchio (= la propria interiorità), che non riesce mai a far coincidere, se non inventandosi qualcosa di inedito, di immateriale…
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Cosa rappresenta questo discorso per la mia vita di psichiatra ancora attivo?”